AU DIAPASON DU MONDE

Parigi, 26 agosto. È significativo il sottotitolo di questa mostra: “Nouvelle sélection”, infatti si tratta di una parte dell’immensa collezione della Fondazione Vuitton. Quando un museo o una fondazione decidono di esporre parte della collezione, in una specifica mostra tematica significa che la collezione è davvero imponente. Se queste operazioni le fa il Centre Pompidou che, oltre che essere una collezione pubblica, è anche forse la più importante istituzione artistica contemporanea del mondo, è un conto, se invece le fa una fondazione “privata” significa davvero che,oltre a conservare un preziosissimo patrimonio, ha anche la lungimiranza e il desiderio di volerlo condividere con il pubblico, e questa è o dovrebbe essere la vera “mission” della fondazioni artistiche. Succede, un po’ più timidamente, anche in Italia. In Francia è un modo di fare comune che ha una lunga tradizione. Non dimentichiamo che lo stesso Louvre è stato il primo “vero” museo pubblico del mondo. Qualche ragione di “tirarsela” i francesi devono pure averla, il bello è che ne hanno tutte le ragioni. “Au diapason du monde” è divisa in tre sezioni: la prima al livello sotterraneo della “Glass Ship” di Gehry, si intitola “L’Homme qui chavire” e non si capisce bene se sia l’uomo a capovolgere lo stato dei “corpi” oppure lo stravolgimento dei corpi (umani e animali) sia a capovolgere l’idea di arte dei visitatori. Bellissime e famosissime le opere di Maurizio Cattelan, uno strepitoso Klein e un impareggiabile   Giacometti, solo per citare i più noti. Senza dimenticare un Bunny Roger che fa il verso a Mark Kostabi. Al piano terra ecco “Là infiniment”, tre grandi artisti che si interrogano su un certo “dominio dell’uomo” e sulla sua possibile estinzione. Si tratta di Cyprien Gaillard, Wilhelm Sansal e Adriàn Villar Rojas. Affascinante il dipinto da Georges Seurat (Une baignade à Asnières) dove la figura è immersa in una raggelante e “acrilica” solitudine, segno indubitabile di una possibile scomparsa del genere umano. La terza sezione è intitolata “L’homme dans l’univers du vivant” e raduna ventotto artisti di diverse generazioni e che si sono cimentati volontariamente o meno sul tema del rapporto uomo-umanità-ambiente. Una sezione ulteriore che fa capitolo a sé è l’excursus   sull’opera di Takashi Murakami (a cui Vuitton affidò alcuni anni fa anche l’allestimento delle proprie vetrine nel gigantesco negozio parigino). La meditazione sullo tsunami che minacciò il Giappone merita, da sola una visita alla Fondation (e magari il viaggio a Parigi). Le creature favolose, la flora generosa, l’iconografia dell’antica tradizione nipponica, dalla pittura “bouddhica” alla cultura “kawai” fino alla recente tradizione dei “manga”, fanno della sua opera, una dirompente ventata d’aria fresca che sembra spazzare via le incrostazioni intellettuali dell’arte concettuale contemporanea. La “nave di vetro” che naviga nel Bois de Boulogne, riserva sempre scoperte fantastiche. 



Commenti

Nico Di Bitetto ha detto…
Ho avuto il piacere di vedere questa mostra straordinaria a Giugno. Mi ha affascinato e incuriosito. L'ho visitata da solo, nell'unico sabato pomeriggio che mi ero concesso da turista parigino.
Ma sono sicuro che vedere la mostra (o qualunque altra) insieme a Mario Grella sarebbe stata una esperienza ancora più emozionante e coinvolgente.

Grazie, caro Mario, per questi tuoi articoli e per farci condividere la tua passione per l'arte e per Parigi.
Mimich ha detto…
Grazie Nico. La Fondation Vuitton è effetivamente un mondo incantato, un’oasi in cui rifugiarsi per sognare e riflettere sul mondo. Per fortuna di queste oasi Parigi ne offre molte. Speriamo un giorno di potrne visitare qualcuna insieme...
ximonvahle ha detto…
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