Era l’ottobre del 1977 quando nell’aula di disegno del liceo
artistico di Novara entrò il Professor Giorgio Fonio. Insegnava “figura
disegnata”, per capirci, copia dal vero della modella. Lui fumava sigari
“Habana” portava un basco alla Che Guevara e aveva sempre con sé pacchi di
libri e di giornali, insomma il cliché dell’intellettuale di quegli anni. Si
presentò a noi studenti ponendoci domande sui nostri interessi, sulle
nostre idee e sulle nostre vite. Toccò anche a me rispondere alle curiosità del
Professor Fonio che, puntandomi l’indice contro, mi chiese: “E tu, per esempio,
quando sei stato a Parigi l’ultima volta?” Io che ero figlio di un operaio e di
una casalinga, strabuzzai gli occhi e con un po’ di vergogna dissi:
“Professore, veramente io non sono mai stato a Parigi...”. Il volto di Giorgio
Fonio si tramutò in una maschera di disprezzo, lo sguardo trasudava
indignazione, le labbra si serravano in un moto di rabbia, la fronte grondava
sudore e ad un tratto, il Professor Fonio sibilò quelle parole grazie
alle quali sono qui a scrivervi: “Ma se non vai almeno una volta all’anno a
visitare le mostre parigine, che senso può avere la tua vita?” Io restai di
sasso, andai a casa lo raccontai a mia madre che mi disse che forse sarebbe
stato meglio se avessi scelto di fare il metalmeccanico. Però dentro di me,
quelle parole sprezzanti ma profondamente vere, come il chicco di senape della
Bibbia, fermentarono e mi fecero pensare. Da quel lontano 1977 io a Parigi ci
sono andato tutti gli anni e con me, la mia futura e attuale moglie
Daniela. Anno dopo anno ci siamo impossessati di questa meraviglia di città,
fino a che abbiamo deciso di metterci una piccola radice accaparrandoci un
pezzetto, per noi prezioso, del Residence de l’Elysée. Ci capita di andare
anche altrove nel mondo, ma teniamo sempre a mente le parole di Audrey Hepburn
che diceva “Parigi non serve a cambiare aereo, serve a cambiare vita.” Amarla
non è difficile e ognuno può amare la sua: quella dell’arte e delle mostre,
quella della moda e del “glamour”, quella romantica, quella dello shopping,
quella caotica, quella silenziosa e riposta, quella trionfale, quella della
“grandeur” o quella della boheme. Non sarò certo io a poter dire qualcosa di
originale su Parigi, ma mi piace ricordare il verso finale di una poesia
di Jaques Prévert: “...À Paris, sur la terre, la terre qui est un astre..."
Mario Grella
llustrazione di Megan Hess
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