L’INCOMPRESO

Parigi, 29 agosto. Pare che lo stilista Martin Margiela che diresse la  Maison Hermés  dal 1997 al 2003, non sia stato completamente apprezzato nel suo lavoro, forse troppo concettuale per Hermés. Come spesso accade nelle arti, l’allievo poi supera il maestro e così Margiela, ha creato un suo “brand” come si usa dire. È tuttavia evidente che il suo lavoro creativo all’interno della grande Maison parigina, abbia lasciato il segno e,il riconoscimento del suo lavoro, viene dalla bella mostra che gli è stata dedicata al Musée des Arts Decoratifs intitolata proprio “Les Années Hermès”. In quegli anni il presidente di Hermès, Jean-Louis Dumas, gli diede carta bianca. Ma l’enfant terrible decide di fare di testa sua, come per esempio violare uno dei tanti dogmi di casa Hermès, la forte tonalità dei colori optando per tonalità monocrome. Certo dovette essere una difficile convivenza, visto l’accentuato interesse di Margiela per la decostruzione, per l’elevato grado di concettualità nelle sue creazioni, l’interesse per i materiali di recupero. Fa sfilare le sue modelle, spesso non professioniste e non giovanissime,  in luoghi insoliti, i volti dei manichini sono spesso degli ovali senza tratti del volto, insomma un matrimonio difficile quello con Hermès che gli imputava anche di non utilizzare il logo della Maison, la famosa lettera “H”. Qui però, il genio di Margiela, offre una soluzione minimalissima e anche di smacco per la Maison: un bottone a sei fori in cui il filo si intreccia formando una minuscola “H”. Forse davvero troppo poco per Jean-Louis Dumas. Non sono un grande esperto di moda, ma come ho più volte scritto, questo mondo ha offerto in questi anni prove di grande valore, esperimenti estetici e grandi capacità creative per le quali è davvero difficile considerarla qualcosa di troppo distante dall’arte. 


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